
Fin dal primo nucleo di questo libro, la conferenza Teologia senza Dio
che Anders tenne da esule a Parigi nel 1934, la maggiore preoccupazione
dell’autore è di mettere in guardia davanti al fenomeno Kafka,
presentendo che questi (sconosciuto a tutti i convenuti, tranne Walter
Benjamin e Hannah Arendt) era destinato a divenire uno dei paradigmi
della letteratura e dell’immaginario del Novecento, e che quindi sarebbe
ben presto sfuggito alla ridotta gittata delle armi tradizionali della
critica letteraria. E in effetti, già alla sua uscita nel 1951, Kafka. Pro e contro
appare come un atto di lesa maestà, e lo stesso Max Brod, responsabile
materiale della trasmissione ai posteri di buona parte dell’opera
kafkiana, lo critica aspramente, provocando una polemica che qui per la
prima volta è accessibile al lettore italiano.
Anders è consapevole dell’incriticabilità del suo obiettivo: «Già Kierkegaard ha formulato in modo definitivo che la domanda: “Cosa è inderogabile in uno scrittore?” sembra essere scorretta, contro la pienezza del talento o della genialità. Ebbene appare scorretta perché è seria. Nel mio saggio, mi sono addossato l’onta di questa scorrettezza…» E per Anders, ad esempio, inderogabile è combattere alcuni germi disseminati nell’opera kafkiana, che aprono la strada a letture estetizzanti o pseudoreligiose e a volte persino legittimano, consapevolmente o no, la sorte del popolo ebraico nel secolo passato.
Sta al lettore odierno giudicare se il vigore polemico di Anders – che tra l’altro si mostra in grado di profondersi in analisi di una raffinatezza esemplare – colga o meno nel segno. La prospettiva «scorretta» e politica di questo scritto, oltre ad aiutarci a ripensare i compiti ormai annacquati della critica, manterrà comunque il merito di farci riconsiderare quelle lacerazioni risalenti all’età dei totalitarismi che a volte ci si illude siano sanate.